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Venerdì Santo

foto tratta dal promo “Settimana Santa, storia tradizioni riti” di Giuseppe Guagliardo

La cerimonia più sentita e vissuta per i leonfortesi, non solo relativamente a quelle della settimana santa ma a tutto l’arco dell’anno, è la processione de “u mulimentu” il VENERDÌ SANTO, intendendo con questo termine il sepolcro glorioso – l’Urna – che custodì per tre giorni il corpo di Gesù prima della resurrezione. 

Descrivere l’atmosfera che circonda questa celebrazione, così coinvolgente e suggestiva, non è cosa facile; bisogna viverla, “esservi dentro” e tuffarsi in quell’aria misteriosa e severa, delicata e superba, ma sempre e comunque di grande drammaticità per comprenderne l’essenza e riceverne emozioni e sentimenti. I bagliori delle luminarie, il ritmo delle battole, i lamenti dei fedeli, la fioca luce dell’urna del Cristo, la vara dell’Addolorata, i confratelli, creano una atmosfera suggestiva ed indimenticabile, difficilmente ripetibile.

La devozione popolare scende nelle strade e inscena il luttuoso teatro della passione. Il rituale lascia naturalmente un buon margine per lo sviluppo di un cerimoniale extra-liturgico che comprende una notevole componente spettacolare e folckloristica. Il luogo si identifica con tutto il centro abitato che diviene teatro della celebrazione popolare, dando vita alla mimesi di un funerale. Chi assiste ai bordi delle strade al lento passare dei confratelli dal volto coperto vive e partecipa in eguale misura alla rappresentazione del dramma. Attori e spettatori restano immersi in lunghi e religiosi silenzi confermati dal fruscio dei sai, dai passi lenti e cadenzati degli incappucciati, dall’incedere frettoloso dei maestri di cerimonia, in uno scenario reso più drammatico dalle ombre tremolanti che la luna disegna sul selciato, spesso luccicante per la pioggia o l’umidità della sera.

Per tutta la mattina di venerdì i fedeli continuano a fare visita al Cristo giacente e all’Addolorata nell’Oratorio. 

Nella tarda mattinata inizia il rito della crocifissione con una processione preliminare dall’Oratorio in chiesa attraverso il piazzale Matrice; durante il tragitto vengono meditate le stazioni della Via Crucis. La processione verso il “Golgota” è aperta dalla grande croce, due lunghe file di consorelle e confrati e coloro che portano i cuscini con i preziosi chiodi, la splendida corona di spine, in argento massiccio con incastonate alcune pietre di rubino, ed il lenzuolo della deposizione con su una rosa rossa; quindi il Cristo con il volto scoperto e sorretto da cinque confrati. Segue l’Addolorata portata a spalla dall’omonima confraternita. Verso mezzogiorno, giunti dinnanzi alla croce, la statua con le braccia snodabili viene “crocifissa”. 

I momenti di meditazione e preghiera della Via Crucis sono scanditi dallo sparo di mortaretti e dal suono della banda musicale che per l’occasione entra anche all’interno della chiesa per eseguire “Ione”, marcia funebre che fa da “colonna sonora” all’intera giornata; una melodia che fa accapponare la pelle e che si effonde dagli strumenti del corpo musicale in un silenzio quasi irreale, sottolineando i momenti più struggenti ed emozionanti. Completato il rito della crocifissione l’Addolorata, con passo lento e cadenzato, per tre volte si avvicina e poi si allontana dalla croce, a simboleggiare il doloroso distacco, come se non volesse abbandonare il figlio; quindi, fa ritorno nell’Oratorio del SS. Sacramento. 

La statua del Cristo crocifisso appare in tutta la sua magnificenza, perfettamente proporzionata, l’anatomia assai studiata in tutti i particolari; il sangue nelle diverse tonalità di rosso che schizza dalle ferite, oltre quello a rilievo proveniente dal costato; le ferite provocate dalle funi ai polsi ed alle caviglie che rendono la statua ancora più realistica; l’intera figura emaciata con il volto reclinato sulla spalla destra, stupendo per la sua espressione, umano nella rappresentazione del dolore, con le labbra socchiuse come di chi, esalando l’ultimo respiro, abbia finito di pronunciare la vocale “o” di “…Tutto è compiuto”.Il dramma della morte del Cristo si legge nel volto dell’Addolorata: il capo leggermente chino, le palpebre socchiuse, gli occhi che guardano nel vuoto nei quali si legge una profonda disperazione, la mano destra protesa come a voler sorreggere il corpo esanime del figlio.

Il preludio alla lunga processione si svolge all’imbrunire quando i confrati del SS. Sacramento escono dall’Oratorio portando a spalla l’artistico fercolo ligneo, finemente intagliato. Spalancato il grande portale fanno ingresso in chiesa giungendo fino ai piedi della croce. Qui avviene il drammatico rito della deposizione della quale, tradizionalmente, si occupano i sacerdoti, al grido di “misiricordia”.

Inizia quindi la processione seguita dal popolo “dolente” che attraverso un percorso lungo e spesso particolarmente accidentato, in un’aura di commosso silenzio e profonda religiosità, tocca tutte le tredici chiese locali, coprendo una distanza complessiva di poco più di 7 chilometri. Molti i fedeli che per voto seguono la processione a piedi nudi. Sono questi segni di quella pietà popolare che fa di tali manifestazioni un momento sentito da giovani e meno giovani e a cui non si può assolutamente non prendere parte. Suoni, sensazioni, emozioni che ogni leonfortese, anche quello che ha dovuto lasciare il paese per cercare fortuna altrove, serba gelosamente nel proprio cuore tra i ricordi più belli e più struggenti.La processione de “u mulimentu” è databile intorno al 1650.