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Musica passionis: Il lamento

I cantori del LAMENTO LEONFORTESE (u lamientu), da secoli durante la settimana di passione intonano un   lamento melodico polivocale ad accordo 

Le origini del lamento sono sconosciute. È giunto fino ai giorni nostri grazie agli anziani cantori che, con devozione, hanno trasmesso il canto alle nuove generazioni.

L’apprendimento del lamento avveniva, per tradizione, ad orecchio e veniva tramandato, mnemonicamente, da padre in figlio.

I lamentatori, in passato, erano per lo più dei contadini e i luoghi più comuni in cui si apprendeva il lamento era nei campi; all’alba quando i contadini si recavano, a dorso dei propri muli o asini, nelle campagne; durante le attività lavorative e la sera quando i contadini facevano ritorno alle proprie case.

Prima di giungere al periodo quaresimale, i gruppi dei lamentatori si riunivano le domeniche pomeriggio o nei giorni feriali e si preparavano per vivere l’esperienza pasquale. In questi incontri non partecipavano solo gli anziani, ma risultava essere anche l’occasione per insegnare il canto alle nuove leve.

La conoscenza dei versi risultava essere un privilegio: infatti nessuno, di chi li custodiva, doveva insegnarli ad altri, compresi anche i componenti dello stesso gruppo. Solo ai solisti, che il più delle volte appartenevano alla stessa famiglia, veniva dato questo privilegio. Ma i testi non venivano insegnati; i solisti dovevano essere in grado di “rubare” le parole, cioè di captare i versi che il padre, il nonno o chi li custodiva ripeteva ad alta voce. A custodire i testi del lamento non erano solo gli uomini ma anche le donne.

A formare il gruppo, o come vengono chiamati a Leonforte “le squadre”, sono circa 8-10 persone. Tra il gruppo si distinguono: la prima voce che è colui che narra i fatti; la seconda voce che, oltre a riprendere l’ultima parola di ogni primo verso lasciata a metà dalla prima voce, è colui che dà il pathòs al canto e accompagna la prima voce con una tonalità che rappresenta il grido straziante di persone sofferenti e disperate. Infine c’è il coro che ha la funzione di rendere l’atmosfera cupa e questo lo fa emettendo la vocale “o” cupa o “turda”, che dà un senso di malinconia.

Un aspetto importante è la postura del corpo assunta dai membri di una squadra di lamentatori, in particolare la posizione delle mani e degli occhi. Gli occhi sono rivolti al cielo. Da notare la postura delle mani dei due solisti; a volte capita di vederli con una mano posta nell’orecchio e l’altra poggiata al petto: questa posizione serve per trovare la giusta tonalità; Altra posizione assunta è quella di mettersi a braccia conserte. 

Dal 2007 un gruppo di giovani, grazie all’aiuto degli ultimi cantori, hanno ripreso il canto del lamento.

Oggi il lamento costituisce una forma di attrazione per le giovani generazioni: infatti ci sono molti  giovani che hanno voglia di conoscere e apprendere l’arte di questa antica nenia funebre.

Durante il periodo quaresimale è solito sentire questa antica nenia funebre nei vicoli o nei crocicchi dei quartieri. 

I lamentatori  ricordano, attraverso il canto, la passione e morte di Cristo.

Il lamento è il canto che accompagna le processioni della settimana Santa e gli altari di San Giuseppe. 

La vigilia della domenica delle Palme, nella chiesetta della Crucidda, viene eseguito il “Credo Regale” un lamento ripreso dopo 35 anni di silenzio.

Ma è il venerdì Santo il giorno in cui il lamento si può ascoltarlo nelle chiese e lungo la processione del “mulimentu”.

A mezzogiorno, dopo la crocifissione,i lamentatori si riuniscono ai piedi della croce e innalzano il loro canto al Cristo crocifisso. 

Il momento più suggestivo e più emozionante avviene durante la deposizione di Cristo dalla croce. Il canto fa da sottofondo al “misericordia” che viene gridato dai confrati del Santissimo Sacramento.

Intorno agli anni Settanta, l’amministrazione di allora avvertì l’esigenza di imprimere nella memoria di tutti l’importanza dei lamentatori. Infatti, lungo il rilievo della facciata della sede comunale, che narra la storia del paese, è possibile vedere il gruppo di lamentatori mentre eseguono il canto per il venerdì Santo.

Ecco alcune parti del lamento:

Cu la canna a li manu fu purtatu,

mantellu russu cuomu Re scuntentu.

Liatu a la culonna e cruna ‘ntesta,

ppì quant’oggi ni facimu festa.

Tutta la turba faciennu timpesta,

<<A chistu uomu lu vulimu a ‘mmorti>>.

 A morti a stu uomu ‘nfami sciallaratu,

Gesù jittava sangu di la testa,

e di tutti li Giudei fu sputatu.

Oh! cchi jurnata di suspiri e bbuci

quannu li chiova a Gisù Cristu scipparu.

E li so carnuzzi, umili e duci,

supra un truncu di cruci arripusaru.

Ora nun è cchiù patruna la cruci

ca ‘mbrazza di Maria lu cunsinnaru.

Lu figghiuolu di Diu, Re di la luci,

a lu Santu sapurcru lu purtaru.

Un  Venniri di Marzu Ruliusu

pigghiaru a nuostru Diu di ‘mPadarisu.

Li chiova ci appizzaru a latu e iusu

La lancia ‘mpettu e lui custatu affissu.

San Giuannuzzu si visti cunfusu

diciennu frati miu cu vi ccìa misu.

E mmi ccì ha misu lu Patri amurusu 

pp’aviri la buntà  do Padarisu.

[ Fonte: Alfredo Crimì, Dott. Archeologo e ricercatore di tradizioni popolari ]


Una rara registrazione del lamento del 1974

U lamientu, uno dei canti più belli della Settimana Santa, rilevato a Leonforte (EN), nel 1974 dal Maestro RIOSO ( al secolo Rino Rodilosso), fa parte dell’antologia sonora pubblicata dall’etnomusicologo Pino Biondo